ASTEYA: AMMIRO SENZA POSSEDERE
Stiamo conoscendo la bellezza e la ricchezza della filosofia dello yoga. Abbiamo immaginato gli otto passi dello yoga (Ashtanga Yoga) come un grande albero della vita. Alla base, le radici, troviamo Yama e Nyama, che al loro interno contengono le dieci regole d’oro del vivere bene con se stessi e con il mondo che ci circonda. Qui puoi leggere il primo articolo dedicato ad Ahimsa, la non violenza; mentre qui trovi l’articolo del secondo passo, Satya, l’amore per la verità. Conoscere queste regole, imparare a lasciare che permeino ogni nostra azione, pensiero e parola nella vita quotidiana significa davvero vivere Yoga, in comunione con il Tutto.
Arriviamo dunque a questa terza regola, un nuovo gradino della nostra radice dell’albero, Asteya, il non possesso. Letteralmente viene tradotto come “non rubare” e si riferisce proprio alla brama di possedere ciò che non è nostro. Invidia è una parola strettamente collegata a questo passo della radice Yama. Quante volte osserviamo la vita altrui e ci ritroviamo a riporre aspettative e desideri per avere anche noi quello che hanno gli altri. Spesso nascondiamo questa brama con il disprezzo verso ciò che hanno gli altri. Disprezziamo il consumo sconsiderato di denaro, nascondendo la brama di averne anche noi da spendere a piacimento; disprezziamo la cura maniacale del corpo di una donna incontrata per strada, nascondendo la brama di avere anche noi un corpo che gli altri ammirano e possiamo così fare infiniti esempi. Ma l’invidia si nasconde anche in gesti di amicizia, ci avviciniamo alle persone con gentilezza per entrare nelle loro grazie e magari accettiamo modi di essere e comportarsi che non fanno parte del nostro sentire, però stare vicini a persone che hanno ciò che vorremmo noi ci fa godere almeno un po’ di quelle cose. L’invidia può avere tanti volti, ma rimane lo specchio di una brama di possesso di qualcosa che non ci appartiene.
Asteya è anche un volto della gelosia, il voler trattenere e possedere per noi qualcosa, o spesso qualcuno, che in realtà non ci appartiene. Quante volte ci arrabbiamo se altre donne guardano nostro marito, e con una punta di cattiveria pensiamo “lui è MIO”… non ci passa nemmeno per la testa che le persone non sono un oggetto che compri ed entra a far parte della tua collezione di cose. Quando proviamo gelosia è perché non stiamo seguendo Astenya, ma stiamo pensando di possedere qualcosa che non è nostro.
I Maestri Yoga offrono, per comprendere questo scalino dei passi yoga, una bellissima metafora. Pensiamo a un cielo stellato. Il nostro sguardo si perde verso l’alto, proviamo una immensa meraviglia e godiamo del panorama che la buia notte ci offre. “Che belle stelle” pensiamo con il cuore colmo di gratitudine. Non ci verrebbe mai in mente di prendere una stella e tenercela nascosta nel cassetto. Non ci verrebbe mai in mente di privare altri della stessa bellezza. Semplicemente stiamo lì, col naso all’insù, col sorriso sulle labbra. Asteya è proprio questo: ammirare le stelle sapendo che non potremo mai possederle. Il nostro amore è disinteressato, puro, aperto, disponibile… Con lo stesso sentimento ci dobbiamo rivolgere verso le persone e verso le cose.
Quando desideriamo qualcosa, quando riflettiamo sui nostri rapporti chiediamoci quanta brama di possedere abbiamo. Saremmo disponibili a condividere quella cosa con altri? Perché vorremmo quella cosa, quella persona? Possiamo farne a meno? Che bisogno dobbiamo colmare con questo desiderio? Asteya ci mette davanti a profonde domande, è uno scalino non di certo facile, ma non dobbiamo dimenticare che dietro di lui ci sono altri due scalini che fanno da base sicura per affrontare con serenità anche questo passo. Non ferire, né se stessi né gli altri, e accettare e vedere la verità, per quello che è. Con queste basi possiamo affrontare il non possesso con consapevolezza, pronti a capirci.
Il quaderno degli esercizi
Scelgo di dedicare una intera giornata alla pratica consapevole di Asteya. Presto attenzione ai miei desideri, alle cose che bramo e a quelle che sento di possedere. Cosa ritengo che sia mio? Cosa definisce quella cosa o persona come mia? Come mi fa sentire non avere il controllo sul possesso di quella cosa o persona? Cosa desidero che gli altri hanno? Perché desidero quelle cose o persone? Come immagino che potrei sentirmi possedendole? Come può invece proseguire la mia vita senza possederle? Quante volte penso “questo è mio”? quante volte sento che una cosa è mia? Quante volte desidero qualcosa che appartiene ad altri? Faccio attenzione: mi riferisco a cose, persone, situazioni, sentimenti, emozioni, talenti, capacità…
A fine giornata annoto le mie sensazioni, mi chiedo come sto, prendo nota dei pensieri che mi hanno accompagnato. È stato facile o difficile? Quali sono state le maggiori difficoltà? Come posso superare questi problemi che ho riscontrato? Mi sento felice? Cosa provo? Nei giorni successivi che sensazioni ho provato?
Possiamo ripetere questa giornata tutte le volte che vogliamo, dapprima saltuariamente cercando poi di riprodurre questo tipo di giornata il più spesso possibile.