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SVADHYAYA: SO DI NON SAPERE


Negli ultimi articoli del blog abbiamo approfondito i 5 passi di Yama, la radice delle astinenze nel grande albero della filosofia yoga. Se immaginiamo infatti Ashtanga Yoga, gli otto passi dello yoga, come un grande albero, alla base vi troviamo due grosse radici: Yama e Niyama. Ognuna di queste radici è formata da cinque passi, cinque regole potremmo dire, che mirano a farci vivere bene con noi stessi e con gli altri. Quando iniziamo a vivere queste regole nella nostra vita quotidiana ci accorgiamo di quanto la felicità e il benessere siano alla nostra portata, se solo scegliamo di viverle davvero. Se Yama da una parte ci ha fatto comprendere cosa è bene NON fare, Niyama ora arriva a suggerirci cosa invece è bene fare. Le osservanze, così vengono chiamate, non sono altro che passi di virtù a cui ambire. Abbiamo già parlato di Saucha, la purezza, e Samtosa, l’accontentarsi, e abbiamo trattato anche Tapas, la disciplina, oggi scopriamo insieme un nuovo passo.


Svadhyaya viene tradotto con “studio del sé” e si riferisce in ugual modo all’autoanalisi, tanto quanto allo studio del mondo esterno. Ma andiamo con ordine. Svadhyaya si riferisce all’arricchimento interiore, il proseguire sul nostro cammino con costante curiosità, lasciando che ogni cosa che incontriamo, ogni persona, situazione, emozione, ogni cosa che vediamo, sentiamo, proviamo faccia a noi da Maestro. Un maestro yoga descrive questo passo come l’essere studenti della Vita. È una continua ricerca, una sete di sapere che diventa una familiarizzazione con il sapere. Libri, canzoni, persone… tutto può arricchire ciò che conosciamo e, arricchendo ciò che sappiamo, comprendiamo meglio il mondo e noi stessi.


Svadhyaya è prima di tutto autoanalisi. Studiare noi stessi significa essere presenti nel qui e ora. Significa chiederci chi siamo? Da dove proveniamo? Cosa del nostro passato ancora ci influenza? Dove punta il nostro sguardo? Per autoanalizzarci dobbiamo prima di tutto guardarci, osservarci, ascoltarci… e inevitabilmente dobbiamo confrontarci con le parti peggiori di noi, per capire quanto invece valgano quelle migliori. Autoanalisi richiede costanza, impegno, disciplina, volontà… ma richiede anche leggerezza, voglia di farsi stupire, richiede sacrificio e purificazione… richiede che siamo prima passati per gli step precedenti. Solo allora potremo affrontare il nostro ricco mondo interiore e trovare nel buio la luce. Una volta trovata saremo pronti a farla risplendere. Svadhyaya rappresenta tutte le domande che ci poniamo, soprattutto quelle scomode, quelle che mettono in crisi… le domande che ci fanno crescere. Lo studio del sé non è altro che il cammino verso l’autenticità, verso l’essenza più pura di noi stessi.


Svadhyaya è anche lo studio nel senso più classico del termine, ovvero arricchire le nostre conoscenze sul mondo esteriore. Siamo abituati a concepire lo studio dentro ad aule scolastiche, spesso associato a noia, esami, interrogazioni… stress! Quanto rovina la scuola il nostro rapporto con lo studio. Studiare secondo Svadhyaya significa invece arricchire la propria vita di meraviglia. Apprendere ciò che altri hanno scoperto prima di noi rafforza chi siamo, ci evita degli errori, ci fa fare scoperte, ci offre rivelazioni… e quante cose ci sono da sapere a questo mondo! Così tante che potremmo sentircene sopraffatti, e potremmo voler sapere tanto, di tutto. E ci scontriamo però con la normalità: il tempo non basta, la mente è limitata, le risorse non sono infinite… e spesso, scontrandoci con questi muri, ci arrendiamo. Svadhyaya ci invita a studiare secondo le nostre inclinazioni personali, in armonia con noi stessi. Ecco perché lo studio del mondo esterno e interno vanno a braccetto.


Svadhyaya significa anche meditare, contemplare, pensare, osservare… lasciarsi avvolgere dalla connessione con il Tutto. “Uomo conosci te stesso e conoscerai il mondo intero”.


Il quaderno degli esercizi


Scelgo di dedicare una intera giornata alla pratica consapevole di Svadhyaya. Per una giornata mi impegno a dedicarmi allo studio. Mi prendo del tempo per meditare, leggere, per pormi delle domande. Scopro quali campi mi piacerebbe approfondire, faccio ricerche e poi mi prendo del tempo per camminare senza meta, osservando semplicemente ogni cosa che incontro e mi chiedo: cosa mi insegna questo?


A fine giornata annoto le mie sensazioni, mi chiedo come sto, prendo nota dei pensieri che mi hanno accompagnato. È stato facile o difficile? Quali sono state le maggiori difficoltà? Come posso superare questi problemi che ho riscontrato? Mi sento felice? Cosa provo? Nei giorni successivi che sensazioni ho provato?


Possiamo ripetere questa giornata tutte le volte che vogliamo, dapprima saltuariamente cercando poi di riprodurre questo tipo di giornata il più spesso possibile.

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