APARIGRAHA: PRATICARE GRATITUDINE CONTRO L’INSODDISFAZIONE
Stiamo conoscendo la bellezza e la ricchezza della filosofia dello yoga. Abbiamo immaginato gli otto passi dello yoga (Ashtanga Yoga) come un grande albero della vita. Alla base, le radici, troviamo Yama e Nyama, che al loro interno contengono le dieci regole d’oro del vivere bene con se stessi e con il mondo che ci circonda. Abbiamo parlato di Ahimsa, la non violenza; Satya, l’amore per la verità; e Asteya, il non possesso. Conoscere queste regole, imparare a lasciare che permeino ogni nostra azione, pensiero e parola nella vita quotidiana significa davvero vivere Yoga, in comunione con il Tutto.
Questa quarta regola spesso viene inserita come ultimo passo della radice Yama, tuttavia io, in accordo con diverse scuole yoga, ritengo che sia più corretto trattarlo subito dopo Asteya, il non possesso, perché i due passi sono molto vicini uno all’altro. Se in Asteya ci eravamo concentrati sul non desiderare ciò che hanno gli altri, questa volta ci concentriamo su di noi, sul non accumulare e non essere avidi nel possedere. Come ogni passo yoga, anche Aparagraha può avere diverse sfumature di lettura. Letteralmente possiamo tradurre questa parola sanscrita con “non possesso”, il che ci rimanda al concetto di accumulo, di consumismo che la nostra società attuale tanto promuove. Quante volte desideriamo e desideriamo sempre di più, nonostante tutto quello che abbiamo? Quante volte ci lasciamo fregare dalle pubblicità e compriamo oggetti che ci sembravano davvero indispensabili ma che in realtà finiscono in un angolo buio di una stanza della nostra casa, occupando spazio e soldi? La nostra è una società dove regna il verbo avere, il che ci rende immensamente schiavi. Aparagraha, invitandoci ad abbandonare questo atteggiamento di possesso, di accumulo, arriva a liberarci. Questo non significa dover fare una vita austera, in mezzo a privazioni e senza comprare nulla. Significa tuttavia riconoscere ciò che davvero ci serve, da ciò che invece soddisfa solo un appagamento momentaneo di possesso.
Aparigraha significa anche non avidità. Quante volte infatti il possesso ci fa essere gelosi di quello che abbiamo? Che siano oggetti, energie, soldi? Aparigraha è molto più del non accumulare per brama di possesso, perchè significa andare oltre e condividere quello che si ha. Con gioia, con gratitudine. Questo è un enorme passo avanti, spesso difficile nella nostra società che promuove l’egoismo e l’indifferenza verso gli altri. Il concetto che questo passo dello yoga porta con sé è accettare il fatto che noi abbiamo già tutto quello che ci serve. Siamo già ricchi a sufficienza. Possiamo dividere le nostre ricchezze con chi ha meno di noi. Solo così potremo essere in comunione con ciò che ci circonda. Facciamo attenzione: anche qui non significa che dobbiamo privarci di averi per noi necessari e vivere da buoni samaritano donando tutti in beneficienza. Significa fare chiave due concetti molto importanti nella culla dove lo yoga è nato: l’induismo. Nella cultura induista esiste infatti una dea, Lakshmi, riconosciuta come dea dell’abbondanza. Il suo potere è quello di donare agli uomini non solo il necessario per vivere, ma anche oltre. La sua infinita bontà ci permette di avere sempre ciò che ci occorre e di avere in più perché ne possiamo godere. Ma Lakshmi ci chiede di avere completa fiducia nella sua generosità, chiedendoci semplicemente di fare lo stesso: essere generosi e grati. Se sappiamo che c’è sempre chi si preoccuperà per il nostro benessere, allora noi possiamo avere meno ansie, e affidarci al flusso della vita certi che ci condurrà a trovare sempre ciò che ci occorre. Questo non significa non darsi da fare per migliorarsi e per guadagnarsi ciò che ci spetta, perché Lakshmi richiede impegno personale. Tuttavia significa non affannarsi troppo, non divenirne schiavi. Il secondo concetto è che anticamente in India chi era molto ricco, ma non condivideva le sue fortune, ricopriva un ruolo sociale più basso di chi possedeva ricchezze molto modeste. Questo perché la domanda cruciale che il popolo si chiedeva era: se hai tanto, ma non lo doni, che te ne fai? Nella nostra società questo è un concetto molto lontano: viviamo preoccupati che in futuro quei soldi, quegli averi potranno servire e così continuiamo a conservare, spesso privandoci noi stessi di godere di ciò che abbiamo guadagnato. Non solo, ma spesso riteniamo di non poter donare agli altri perché pensiamo di non avere abbastanza per noi. E se quei soldi, quelle cose, ci servissero in futuro? Ecco Aparigraha ci invita ad avere fiducia nell’Universo e nell’altro. Ci invita ad aiutarci uno con l’altro e chi ora ha di più è giusto che si occupi di chi ha di meno, nella certezza che i ruoli potrebbero invertirsi da un momento all’altro.
Aparigraha significa gratitudine. Ho già tutto quello che mi serve. E celebro la mia ricchezza. In questo modo, con il cuore colmo, invio segnali positivi attorno a me e questa energia solare non farà che portare a me altrettanto. Mi accorgerò così che più sono grato e più dono, più io ricevo in cambio. Facciamo attenzione però che il nostro cuore sia puro nella gratitudine e nella generosità.
Il quaderno degli esercizi
Scelgo di dedicare una intera giornata alla pratica consapevole di Aparagraha. Vivo la mia giornata con gratitudine, osservando quante cose belle già posseggo. Cerco di capire i miei desideri: sono qualcosa che davvero più cambiare la mia vita? Solo se rispondo si a questa domanda allora il desiderio merita di rimanere ed è giusto lavorare con esso. Oggi mi concentro anche sulla generosità: cerco di osservare le persone che incontro. Che cosa posso fare per loro? Posso donare del denaro, del tempo, degli oggetti, delle energie, delle preghiere?
A fine giornata annoto le mie sensazioni, mi chiedo come sto, prendo nota dei pensieri che mi hanno accompagnato. È stato facile o difficile? Quali sono state le maggiori difficoltà? Come posso superare questi problemi che ho riscontrato? Mi sento felice? Cosa provo? Nei giorni successivi che sensazioni ho provato?
Possiamo ripetere questa giornata tutte le volte che vogliamo, dapprima saltuariamente cercando poi di riprodurre questo tipo di giornata il più spesso possibile.